Il Comune di Viterbo e ATCL â Circuito multidisciplinare del Lazio sostenuto da MIC â Ministero della Cultura e Regione Lazio, presentano, al Teatro dellâUnione, sabato 21 dicembre alle ore 21,00, Il Giardino dei ciliegi, di Anton Äechov, traduzione Fausto Malcovati. Sul palco, Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Alfonso De Vreese, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna, regia Leonardo Lidi. Il giardino dei ciliegi Ăš lâultimo lavoro teatrale di Anton Cechov. Debutta a Mosca nel 1904, sei mesi prima della morte del drammaturgo russo. Lâopera ha una doppia natura: viene concepita dallâautore come una commedia, perchĂ© contiene alcuni elementi di farsa, ma molti registi la dirigono come se fosse una tragedia. La vicenda si svolge in Russia, nella villa di Ljuba e della sua famiglia, appartenente alla vecchia aristocrazia locale. Oltre alla casa, la proprietĂ comprende anche un immenso giardino con alberi di ciliegio, simbolo del passato glorioso della famiglia e dei ricordi di unâepoca ormai tramontata. La tenuta Ăš stata messa allâasta a causa dei debiti della famiglia. Dopo un lungo soggiorno a Parigi, Ljuba torna in Russia per trovare il modo di pagare lâipoteca e non perdere tutto. Lâopera Ăš una riflessione sugli inevitabili cambiamenti sociali e sull’incapacitĂ dellâaristocrazia di adattarsi alla modernitĂ .
NOTE DI REGIA
Leggendo Il giardino dei ciliegi di Anton Äechov mi Ăš sempre sembrato palese â e magari ho sempre sbagliato â che il nostro giardino Ăš sinonimo di nostro teatro. Ed avendo avuto il progetto Äechov una validitĂ politica dal suo principio, dal rientro post pandemico con Gabbiano per interrogarci sul come ripartire nellâincontro con il pubblico, mi sembra stimolante chiudere il cerchio con questo testo cosĂŹ profondo nelle sue domande. Un testo, lâultimo di Äechov, che presenta a tratti monologhi piĂč concettuali e smaccatamente filosofici rispetto ai precedenti, ma che continua a sballottarci da un personaggio allâaltro, spostando la âragioneâ su piĂč punti e facendoci letteralmente girare la testa. Termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime risposte. Ecco, forse, cosa vuol dire drammaturgia. Ecco perchĂ© Äechov, sopravvissuto al tempo, dovrebbe essere il maestro di riferimento del teatro del domani: un simpatico individuo che prendendosi un poâ in giro immette generosamente una riflessione nellâaltro. Con la cura verso lâaltro e la noncuranza del proprio io. In un teatro dove bisogna autodefinirsi pedagoghi e maestri per salvarsi dalla mediocritĂ , Äechov ci rassicura nel dubbio, citando Amleto attraverso le mani troppo in movimento di Lopachin e ci ricorda che il dubbio fa parte del nostro mestiere e che senza di quello non potremmo sopravvivere, che senza il dubbio la creativitĂ perde appetito. In unâItalia che cerca sempre di piĂč sintetiche risposte sbertucciando la complessitĂ , il progetto Äechov rischia di non sapere. Si potrebbe scomodare il paradosso socratico del âallora capii che veramente io ero il piĂč sapiente perchĂ© ero lâunico che non sa nĂ© pensa di sapereâ ma sono certo di poter esprimere lo stesso concetto con qualche canzoncina da Festivalbar nella prossima messinscena. Per chi conosce il testo: se inizialmente ci sembra normale parteggiare per il monologo di Trofimov e il suo concetto di essere consapevolmente un eterno studente, colui che comprende che per avanzare nella vita non bisogna mai smettere di lavorare e di far lavorare la propria mente, non posso non saltare sulla sedia ogni volta che leggo che lâunico ad andare a teatro in questo copione Ăš Lopachin. Lopachin, che si sveglia alle cinque del mattino, figlio di contadini, Lopachin che ha fatto i soldi e che pensa a come farne sempre di piĂč, ieri sera Ăš stato a teatro a differenza di tutti gli intellettuali presenti in quella casa. Ecco, tutto qui. Ecco che, per lâennesima volta, non possiamo accomodarci sulla lettura spiccia dei buoni e dei cattivi, ma che per raccontare la complessitĂ umana divertendoci dobbiamo ricercare i paradossi della gente. Lopachin e Trofimov, semplificando, sono una mano destra e una mano sinistra che si stringono solo nellâincapacitĂ di dichiararsi alla donna amata nel loro infantilismo relazionale. Ed ecco che le donne Ljubovâ, Dunja, Varja e Anja, che hanno creduto nellâamore, si ritrovano sistematicamente sconfitte e deluse dai loro uomini, troppo distratti dai pensieri del proprio ombelico. Ed ecco Charlotta, sola da sempre e per sempre, che simula un infanticidio per divertimento, sbarazzandosi cosĂŹ di un fantoccio bambino e della retorica del ruolo teatrale donna/mamma. Un calcio nelle palle al capocomicato con i suoi personaggi femminili cosĂŹ semplificati. Che grande Äechov! Che bello Il giardino dei ciliegi! Che non si puĂČ incasellare, che non puĂČ essere fatto in nessun modo se non in quello piĂč difficile, che necessita di un credo radicale nellâatto creativo. La richiesta alla nobiltĂ dâanimo, alla generositĂ come piĂč grande forma dâarte. Un luogo, un giardino/teatro, che aveva trovato la sua utilitĂ cento anni fa e che adesso vive solo nel ricordo dei suoi interpreti. Che adesso non produce piĂč la marmellata di cui i nostri nonni erano tanto ghiotti e che per questo si puĂČ tranquillamente buttare giĂč in favore di un parcheggio.
âBisognerebbe buttarlo giĂč questo teatroâ tuonava il maestro del Gabbiano. Eccoci ancora qui. SarĂ un piacere vederli tutti di fila. E va bene inorridire pensando alla ruspa che distruggerĂ i nostri alberi ma forse dovremmo coraggiosamente prendere per il bavero anche lo zio Gaev che, colpevolmente, parla di caramelle e si protegge nel ciĂČ che Ăš stato e che, per paura della morte e dello scorrere del tempo, si facilita lâesistenza associando il presente e il denaro alla volgaritĂ . Senza prendere il toro per le corna, decidendo di non essere incisivo. E di perdere. Ma in questo tempo la testa va lasciata fuori dalla sabbia, in questo tempo Ăš importante ribadire a gran voce che il nostro inutile giardino, il nostro teatro pubblico, non si puĂČ basare solo sui numeri, non si puĂČ valutare solo contando quante ciliegie produce di anno in anno.
Altrimenti, ieri come oggi, tanto vale privatizzarlo e farci tante villette per i turisti. Se non câĂš rischio di impresa non Ăš Pubblico e non merita di essere sostenuto dalle persone. E non fate i furbi su questo: non nascondetevi dietro il sipario se non amate il teatro. Se volete piĂč ciliegie in maniera dozzinale solo per produrre fiumi di marmellata non Ăš un grande giardino â citato anche nel dizionario enciclopedico â il posto adatto a voi. Se lâunico pensiero Ăš avere sempre di piĂč, accumulare in maniera autolesionista e spremere le persone accanto a noi, se crediamo in questa forma di schiavismo del nuovo millennio, se smettiamo di occuparci della qualitĂ delle nostre vite attraverso la qualitĂ della vita degli altri allora mi chiedo che cosa stiamo facendo, ancora, su un palcoscenico. E se lo chiedono anche gli attori, abbandonati nel tempo a dover elemosinare attenzione con lunghi monologhi emotivi ed effimeri, su armadi di cento anni fa. A dover auto affermare il valore del proprio lavoro. Ci siamo dimenticati di loro, abbiamo chiuso la porta a doppia mandata e li abbiamo lasciati agonizzanti dopo aver sfruttato il loro servizio. Ecco lâultima immagine che Äechov ci lascia nel finale di Giardino, nel finale di una vita spesa per il teatro. Una persona che ha servito altre persone per tutta la vita, senza se e senza ma, dimenticato. Dice a se stesso, o al teatro che sta occupando ââŠNon hai piĂč forze, non ti Ăš rimasto proprio niente, niente⊠Eh, buono a nullaâŠâ. Poi una corda tragica di violino a riempire la scena. Anche Äechov, dopo tutta questa buona marmellata regalata, ci lascia con una nota triste, come se non avesse piĂč voglia di ridere. E infatti câĂš da piangere. O, forse, da reagire.(Leonardo Lidi)
Prezzi biglietti
Platea: Intero ⏠26,00 + ⏠3,50 prev. â Ridotto ⏠24,00 + ⏠3,50 prev.
Palco centrale 1° fila: Intero ⏠24,00 + ⏠3,50 prev. â Ridotto ⏠22,00 + ⏠3,00 prev.
Palco centrale 2° fila: Intero ⏠22,00 + ⏠3,00 prev. â Ridotto ⏠20,00 + ⏠3,00 prev.
Palco laterale 1° fila: Intero ⏠20,00 + ⏠3,00  prev. â Ridotto ⏠18,00 + ⏠2,50 prev.
Palco laterale 2° fila: Intero ⏠12,00 + ⏠1,50 prev. â Ridotto ⏠10,00 + ⏠1,50 prev.
Palco lateralissimo: Intero ⏠18,00 + ⏠2,50 prev. â Ridotto ⏠15,00 + ⏠2,00 prev.
Teatro dellâUnione – Piazza Giuseppe Verdi – Viterbo
La biglietteria del Teatro Ăš aperta dal martedĂŹ al sabato con orario 10.00 â 13.00 e 15.00 â 19.00.
Aperto anche di domenica, con gli stessi orari, solo in caso di spettacoli o altre attivitĂ .
Chiuso il lunedĂŹ.
Per informazioni: www.teatrounioneviterbo.it e teatrounioneviterbo@gmail.com – Tel. 388.95.06.826
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Pagina aggiornata il 20/12/2024