Doppio appuntamento con il Teatro a Viterbo: 19 settembre UNO NESSUNO CENTOMILA con Enrico Lo Verso; 26 settembre PROCESSO A SOCRATE con Enzo Decaro

17 Settembre 2021

Doppio appuntamento con il Teatro a Viterbo, nell’ambito della programmazione dell’Estate Viterbese 2021, vanno in scena UNO NESSUNO CENTOMILA, con Enrico Lo Verso, e PROCESSO A SOCRATE, con Enzo Decaro.

Gli spettacoli rientrano nel progetto drammaturgico della regista Alessandra Pizzi che porta avanti un percorso di riscrittura e messa in scena dei grandi classici della letteratura.

Lo Verso, tornato in scena dopo 12 anni di assenza dal teatro, veste i panni del protagonista del romanzo di Pirandello, in uno spettacolo in tournée da oltre 5 anni nei prestigiosi teatri e festival nazionali. UNO NESSUNO CENTOMILA, insignito da riconoscimenti di pubblico e critica, nella forma di monologo, riporta il pensiero dell’autore siciliano, sempre attuale.

PROCESSO A SOCRATE è il nuovo progetto teatrale, reduce dal debutto estivo, in cui Enzo Decaro avanza la ricostruzione, storica e teatralizzata, di uno dei più interessanti processi della storia, il primo che vede un imputato reo di ideologia e di esercizio del proprio pensiero.

Come dice Calvino “Un classico è un libro che non ha mai smesso di dirci qualcosa”, sostiene Alessandra Pizzi, “E nei classici va ricercata la matrice del pensiero che rende il testo oltre ogni tempoPer Enrico Lo Verso “L’eredità di Pirandello è in quell’uomo saggio, esperto, nella nostra società considerato il vecchio da tenere da parte, mentre nella storia dell’umanità rappresentava l’esperienza e la possibilità data ai giovani di non ripetere gli errori commessi da lui. Racconta la propria vita, l’esperienza e il cammino verso la pace. Per fare questo parte dal caos e quindi inizia a destabilizzare fondamenta che tutti crediamo salde. Mentre io racconto, il pubblico si cala nelle proprie vicende. E’ un percorso comune. Alla fine, dopo tutte le domande, ci si rende conto che l’unico modo per acquisire una vera, salda, indissolubile identità è…vedere lo spettacolo. Avviene come in una serata tra amici: accolti in casa Moscarda, si comincia a chiacchierare”.

DECARO (in scena accompagnato da Enrico Palmieri al contrabbasso), torna sull’importanza di rileggere i classici “perché in essi è conservato quel patrimonio indissolubile a cui attingere per capire il presente”

Gli spettacoli sono realizzati con il patrocinio del Comune di Viterbo.

Gli spettatori potranno usufruire di una promozione sull’acquisto dei biglietti di entrambi gli spettacoli.

Info e Prenotazioni: 3939041725, oppure 3279097113. Biglietti on line sul circuito TICKETITALIA, oppure presso il Teatro San Leonardo, in Via Cavour 9 a Viterbo, o presso Underground, tel 0761342984

SCHEDE SPETTACOLI

UNO NESSUNO CENTOMILA
L’omaggio a Luigi Pirandello, attraverso l’adattamento teatrale del più celebre dei suoi romanzi: la storia di un uomo che sceglie di mettere in discussione la propria vita, a partire da un dettaglio, minimo insignificante. Il pretesto è un appunto, un’osservazione banale che viene dall’esterno. I dubbi di un’esistenza si dipanano intorno ad un particolare fisico. Le cento maschere della quotidianità, lasciano il posto alla ricerca del SÉ autentico, vero, profondo. L’ironia della scrittura rende la situazione paradossale, grottesca, accentua gli equivoci. La vita si apre come in un gioco di scatole cinesi, e nel fondo è l’essenza: abbandonare i centomila, per cercare l’uno, a volte può significare fare i conti con il nessuno. Ma forse è un prezzo che conviene pagare, pur di assaporare la vita.

IL PROGETTO:
Avrei voluto che Pirandello fosse vivo, per mostrargli la grandezza della sua parola, la contemporaneità di un messaggio, più attale oggi a 100 anni dalla sua formulazione, il bisogno impellente, necessario, autentico del pubblico di approvvigionarsi della conoscenza di sé, di leggere per provare a decodificare quei segni della quotidianità come codici di accesso ai meandri delle proprie emozioni. Mi chiedo ogni sera, osservando il pubblico che, immobile, assiste allo spettacolo, se Pirandello fosse veramente consapevole delle conseguenze che la portata della forza tumultuosa, di quella giustapposizione di pensieri, di quella serie, interminabile, di quesiti, della ricerca smaniosa di risposte, avrebbero potuto produrre sul pubblico. O se, come spesso accade, il risultato abbia superato le intenzioni. Di certo nel suo pensiero e nella sua opera c’è la consegna al mondo del fardello della conoscenza, che è peso per la presa in carica di sé stessi, ma anche leggerezza per la scoperta meravigliosa di quella bellezza che ad ognuno la vita riserva. Uno, nessuno e centomila è il romanzo chiave: non in quanto apoteosi o summa del pensiero, ma quanto incipit per un’analisi introspettiva e macroscopica sulle dinamiche esistenziali, ma anche socio culturali della società. Uno, nessuno e centomila “apre”, la mente a riflessioni e a dubbi, il cuore alla ricerca della propria essenza, ma soprattutto apre alla vita, affinché scelga la forma migliore con cui rappresentare l’individuo. Ho raccolto l’eredità di questo pensiero, più per dovere che per amore per l’arte. Il dovere di chi fa questo lavoro e che è chiamato ad interpretare strumenti di conoscenza, inventando specifici e linguaggi in modo da renderli accessibili a tutti. Ecco che UNO NESSUNO CENTOMILA, nel riadattamento del testo reso in forma di monologo, che ho voluto dargli diventa il presupposto per un teatro che “informa”, che supera la funzione dell’intrattenimento e diventa pretesto, occasione, spunto per la conoscenza. E in questo sta il dovere di un drammaturgo, nel trovare un codice per offrire al pubblico l’occasione per superare sé stesso. Poco importa se il pretesto sia una sera a teatro, del resto, Pirandello stesso ci insegna che il pretesto è pur sempre una banalità. Ecco che la messa in scena di UNO NESSUNO CENTOMILA, affidata alla magistrale bravura di Enrico Lo Verso, è come una seduta psicoterapeutica: tutti ne sono attratti, ma in pochi sono consapevoli degli scenari che possono profilarsi. Ecco che 70 minuti sono il tempo necessario ad affondare le mani nella propria mente, ricercare come in un dejà vu, gli elementi già noti, riconoscerli e iniziare a guardarli con una luce nuova. Ecco che lo spettacolo rompe gli schemi, toccando uno dopo l’altro i conflitti di un’esistenza: il rapporto con i genitori, i dubbi sulla provenienza, il rapporto dei generi, la ricerca dell’identità ed, in fine, l’affermazione di sé. Ecco che il pubblico si nutre di testo, in silenzio elabora, applaude e, ogni sera, ci chiede di farlo ancora…

 LO SPETTACOLO
Scritto in occasione del 150 esimo anniversario della nascita di Luigi Pirandello, uno spettacolo su l’ultimo romanzo dell’autore di Girgenti, quello che riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nel modo più completo. Pirandello stesso, in una lettera autobiografica, lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita.  “Uno, nessuno e centomila” è un’opera di lunga elaborazione, di assidua stesura, che accompagna, o per meglio dire informa di sé, il resto della produzione pirandelliana. Da qui l’idea di una nuova e originale messa in scena, che possa ricercare nuovi specifici per lo spettacolo ma, soprattutto, sappia ridisegnare il rapporto, all’interno dello spazio scenico tra la parola e gesto. Un unico testo narrativo, per interpretazione sempre diverse affidate al racconto di Enrico Lo Verso, che mette in scena un contemporaneo Vitangelo Moscarda, l’uomo “senza tempo”. Un’interpretazione naturalistica, immediata, “schietta”, volta a sottolineare la contemporaneità di un messaggio universale, univoco, perenne: la ricerca della propria essenza, dentro la giungla quotidiana di omologazioni. La voglia di arrivare infondo ed assaporare la vita, quella autentica, oltre le imposizioni sociali dei ruoli. La paura di essere soli, fuori dal grido sociale della massa. Ed infine, il piacere unico, impagabile della scoperta del proprio “uno”: autentico, vero, necessario. Il Vitangelo Moscarda interpretato da Lo Verso diventa uomo di oggi, di ieri, di domani. Ed il testo diventa critica di una società che oggi, come cento anni fa (quando il testo fu concepito), tende alla partecipazione di massa a svantaggio della specificità dell’individuo. Ma la sua è una critica volta ad un finale positivo, la scoperta per ognuno di essere stessi, dentro la propria bellezza. L’interpretazione, non manca di ironia e sagacia, ricca com’è di inflessioni e note di colore tipiche siciliane, tanto care all’autore del testo, al personaggio e all’attore che lo interpreta.  Una messa in scena mutevole in ogni contesto, nel rapporto empatico con il luogo e con chi ascolta e che dà forma ad un personaggio, che è uno, centomila o nessuno, tutti per la prima volta affidati al racconto di una voce.

PROCESSO A SOCRATE
Un nuovo progetto artistico che si aggiunge alla lunga e costante tradizione della regista pugliese impegnata nella “riscrittura” dei grandi classici della letteratura. Per questa nuova produzione ha scelto l’opera di Platone e la sua Apologia di Socrate, per raccontare al pubblico, attraverso la trasposizione scenica, un testo di “un’attualità imbarazzante”, come lo ha definito la stessa regista (che cura anche l’adattamento teatrale). Lo spettacolo, affidato alla narrazione dell’attore ENZO DECARO, ripercorre le fasi della vicenda che videro, oltre duemila anni fa, protagonista un uomo, Socrate appunto, dai suoi primi atti d’accusa alla sentenza e lo fa in un una maniera del tutto inedita e originale, ripercorrendo ipotetici e probabili atti giudiziari, i verbali di udienza, le testimonianze, offrendo spunti per la costruzione di quel processo che allo stesso imputato, come voleva la tradizione del tempo, fu negato. “Quale sarebbe stata la sorte di Socrate se gli fosse stata offerta l’opportunità di un giusto processo? E quale sarebbe il verdetto se quel processo si compisse adesso?” Da questi quesiti parte la pièce teatrale (che consolida il sodalizio artistico tra la regista Alessandra Pizzi e l’attore Enzo Decaro, già avviato con lo spettacolo Un’Odissea Infinita), che mira a ribadire l’importanza della ricerca nei classici di spunti per leggere e comprendere il presente. Uno spettacolo che non si pone l’obbiettivo di dare risposte, ma che (socraticamente, appunto) offre allo spettatore spunti di riflessione, elementi di analisi, strumenti per la valutazione. Stimola la curiosità avvicinando il pubblico dei lettori al teatro e quello del teatro alla lettura, in questo tentativo di realizzare un match, nella conoscenza dei grandi autori classici e il bisogno, sempre vivo, di partecipazione condivisa che il teatro sa soddisfare.
In scena con Enzo Decaro, il musicista pugliese Enrico Palmieri, al contrabbasso.
Lo spettacolo si avvale della consulenza tecnica per la riscrittura degli atti processuali di Giuseppe Calogiuri, avvocato, già autore di romanzi e saggi.

Note di Regia
Fra tutte, l’opera di Platone, L’Apologia è certamente la più ricca d’informazioni riguardanti il pensiero di Socrate. L’opera appare come un’incondizionata difesa da parte dell’autore, Platone, della figura e dell’insegnamento del suo amato maestro, davanti quelle gravi accuse che lo avevano portato al processo, la cui causa va certamente rintracciata nell’errata interpretazione del suo pensiero. Sebbene Socrate avesse avuto inizialmente alcune possibilità di scelta, per evitare la pena di morte, ammettendo la propria colpevolezza e andare in esilio, egli scelse di non tradire i propri ideali. Nel 399 a. C, dopo aver affrontato il processo, Socrate fu condannato a morte.
Durante il processo a suo carico Socrate non mette in discussione le leggi, ma soltanto l’errore giudiziario di cui è vittima. Ma la sua sorte non lo autorizza a tradire i patti con la sua coscienza. Avrebbe potuto scegliere di non continuare a esporre in pubblico le sue dissertazioni, o di fuggire, ma se lo avesse fatto in ogni caso non avrebbe onorato la sua parola.
Un errore giudiziario, quindi, con un processo finito con le condanna a morte, che ricorda quelli ai cui tanto la storia e la cronaca di hanno abituati, e che rievoca, anticipandolo, il più grande errore contro un innocente commesso dall’umanità, e che trova la sua forma più espressiva nell’icona della crocifissione…
La riduzione drammaturgica ripercorre il processo per raccontare una vicenda umana, che è quella di molti: di chi ogni giorno è soggetto al giudizio e allo scherno della folla, perché “diverso”, e di chi sotto il peso di un’accusa infamante errata ha perso la vita.
La giuria popolare che condannò a morte Socrate, aveva cinquecento cittadini, e sappiamo che fu sempre la folla a scegliere di liberare Barabba. Quella stessa che oggi, a distanza di oltre 2000 anni da quegli errori, quando non può capire, preferisce condannare.
La rappresentazione ruota attorno al dialogo tra Socrate e se stesso, oltre la presenza degli accusatori. A Socrate ciò che importa non è dimostrare agli altri la propria onestà, ma restare coerente con se stesso, nonostante le interferenze esterne.
La ricerca della propria verità diventa più importante della prova della propria innocenza, perché di fronte ad una falsa accusa non restano che due strade: infrangere le leggi e quindi essere asserviti a quello stesso sistema che condanna, oppure diventare migliori di se stessi.
Socrate scegli la seconda, sino a sublimare il suo pensiero non alla ricerca della verità oggettiva, ma della bellezza soggettiva che trova nella coerenza del pensiero.
Un uomo, quindi, che intraprende uno scambio dialettico con la propria coscienza.
“…. Ma è già l’ora di andarsene, io a morire, voi a vivere, chi dei due però vada verso il meglio è cosa oscura a tutti, meno che a Dio”, furono queste le ultime parole che Platone fa pronunciare a Socrate prima di morire. Perché la storia insegna a non dimenticare.

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