Sposalizio della Vergine, ultimato restauro alla tela del Vanni. L’opera è tornata nella sala Rossa di Palazzo dei Priori
24 Luglio 2021
Il sindaco Arena: “L’intervento sarà illustrato a novembre, durante la discussione della tesi della laureanda Valentina Fiorito. Grazie a docenti, restauratori, storici dell’arte e studenti dei laboratori di restauro del DIBAF dell’Unitus”.
Da ieri mattina, la tela del Vanni, Sposalizio della Vergine, è tornata nella sala Rossa di Palazzo dei Priori. Ad accogliere l’opera, dopo un accurato intervento di restauro conservativo, il sindaco Giovanni Maria Arena, che si è complimentato con tutto lo staff di docenti, restauratori, storici dell’arte e studenti dei laboratori di restauro del DIBAF dell’Università degli studi della Tuscia che hanno curato il delicato intervento. Un ringraziamento lo ha rivolto in particolare alla laureanda Valentina Fiorito che ha iniziato a lavorare sull’opera nel febbraio 2020 e proprio di questo intervento parlerà durante la discussione della sua tesi il prossimo novembre.
“L’opera di Pietro Vanni – spiega il sindaco Arena – è la copia dell’omonima scena dipinta ad affresco da Lorenzo da Viterbo nella cappella Mazzatosta, all’interno della chiesa di Santa Maria della Verità. Grazie all’interessamento della Fondazione Carivit e a una convenzione tra il Comune di Viterbo e l’ateneo della Tuscia (Dibaf), la tela del Vanni è stata prelevata da Palazzo dei Priori nel 2019 per essere sottoposta a un intervento di restauro conservativo curato da docenti e studenti del corso di laurea magistrale LM/02, dei laboratori di restauro del DIBAF dell’Università degli studi della Tuscia. Il risultato finale dell’accurato lavoro restituisce tutta la bellezza a una grande opera, realizzata da un artista nostro concittadino, vissuto in un secolo non troppo lontano dal nostro”.
“Lo stato conservativo del dipinto richiedeva un intervento di restauro per le diverse problematiche di degrado in atto – ha spiegato Valentina Fiorito – sia a livello strutturale, come alcune lacerazioni del supporto tessile, che di pellicola pittorica, ovvero difetti di adesione e depositi di sedimentazioni carboniose. Durante le fasi di smontaggio della tela è stato possibile recuperare la dimensione originale del dipinto (210 x 620cm), riscoprendo la firma dell’autore e l’anno 1889. Considerate le ampie dimensioni dell’opera, per ragioni di collocazione all’interno della sala in un tempo imprecisato, l’estremità sinistra era stata ripiegata di 30 centimetri intorno, al di sotto della cornice”.
“Il progetto di restauro – ha sottolineato la docente Lorenza D’Alessandro – ha rappresentato l’occasione per poter studiare e analizzare l’opera da vicino, fornendo dati certi sulla tecnica esecutiva e l’ingegnoso metodo di riporto architettato dal Vanni per riprodurre fedelmente in scala 1:1 il dipinto murale di Lorenzo da Viterbo. Una ricerca storico documentaria estremamente interessante, argomento di tesi in corso – ricorda la professoressa D’Alessandro -. L’approfondimento storico artistico di questa tesi, che verrà discussa il prossimo novembre, è focalizzato sulla cultura del restauro nel XIX secolo, e segnatamente sulle strade teoriche e operative del restauro e sul valore della documentazione nella conservazione nel periodo post unitario. Lo Sposalizio della Vergine di Pietro Vanni costituisce infatti un eccezionale “documento” che ci descrive analiticamente lo stato dell’affresco Mazzatosta dopo il restauro Muzio, condotto a partire dal 1877, attenendosi ai dettami teorici di Cavalcaselle”.
“Il restauro strutturale di quest’opera – ha aggiunto ancora la laureanda Valentina Fiorito – è stato ispirato dal principio del minimo intervento conservativo e al rispetto delle istanze materiche originali. Questo è stato possibile grazie alla sapiente tecnica esecutiva che il Vanni ha concepito nella sua trasposizione su tela che prevedeva una materia pittorica simile, o assimilabile, a quella dell’affresco. Una struttura delicata, fragile ma in discreto stato di conservazione. L’intervento ha previsto il rinforzo delle aree più degradate, il risanamento di tagli e strappi, il trattamento delle deformazioni, la foderatura dei bordi, il tensionamento su un nuovo telaio progettato non solo per sostenere questo grande formato ma anche per proteggerlo negli anni che verranno. Trattandosi di un dipinto eseguito a gouache su preparazione a gesso, le operazioni di pulitura sono state condotte con estrema prudenza, nella consapevolezza della fragilità dei materiali costitutivi e della tecnica esecutiva. Questo non ha precluso l’interesse nell’approfondire ed ampliare la ricerca nel campo delle puliture con gomme a secco o con minimo apporto di acqua, proponendo una metodologia nuova d’intervento per la rimozione di polveri coerenti tenaci da superfici pittoriche a gouache. Tutto ciò è stato possibile grazie all’apporto fondamentale dei laboratori scientifici della Tuscia che hanno svolto le indagini diagnostiche sull’opera durante le diverse fasi e sui i provini di sperimentazione, che ogni ricerca richiede e prevede.
La presentazione estetica finale del dipinto ha privilegiato anche in questo caso un minimo intervento, risarcendo le lacune e raccordando le abrasioni cromaticamente ad abbassamento di tono, semplicemente riproponendo il tono di fondo del filato patinato dal tempo”.
“Il dipinto era stato concepito dal Vanni per essere facilmente movimentabile durante le sue fasi esecutive – ha aggiunto il professor Matteo Rossi Doria – per questo motivo, sulle cimose erano cuciti degli anelli in rame, pervenuti solo in parte, aventi la funzione di tiranti per tensionamenti provvisori. Restaurati e opportunamente ricollocati, gli anelli superstiti sono oggi riproposti a vista”.
Fanno parte del gruppo tesi i docenti restauratori Lorenza d’Alessandro e Matteo Rossi Doria, gli storici dell’arte Silvia Cecchini e Maria Ida Catalano, la chimica Claudia Pelosi, con la collaborazione del CINTEST coordinato da Giuseppe Calabró per le indagini multispettrali, Luca Lanteri, Vincenzo Vinciguerra e Giorgia Agresti. Il fotografo ufficiale è Gaetano Alfano. Hanno collaborato al ricollocamento dell’opera il docente restauratore Leonardo Severini e gli allievi del IV anno, percorso PFP2 polimaterico.
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